La fotografia non mostra la realtà, mostra l’idea che se ne ha

Essendo un fotografo proveniente dall’analogico, nel mio approccio fotografico ho un’impostazione classica per cui ho sempre visto negativamente l’eccesso di post produzione con Photoshop o affini, a meno che non replicassero le tecniche di camera oscura finalizzate al miglioramento dell’immagine. A dire il vero non ho mai preso parte alla storica questione analogico contro digitale, credendo prima di tutto nella qualità della produzione fotografica.
Si fa un gran parlare nel mondo della fotografia dell’utilizzo più o meno “legale” del digitale ed un ulteriore spunto di riflessione me lo ha fornito l’articolo Confesso che Incollato apparso sul blog di Fotocrazia di Smargiassi dove si intervista il fotografo Francesco Cocco, che nell’aprile del 2010 ha dovuto restituire il primo premio al Premio Internacional de Fotografía Humanitaria Luis Valtueña perché la sua foto era frutto di un’elaborazione digitale, in palese violazione del regolamento.
Lasciamo da parte il dibattito morale sulle intenzioni di Cocco (superficialità o malizia nel presentare la foto sapendo come era stata prodotta? Non é questo il fine del post), vorrei soffermarmi sull’aspetto interpretativo e creativo della fotografia.
Credo che ci sia un errore di fondo o una presunzione: che la fotografia sia una rappresentazione della realtà ed é  questo uno dei motivi per cui in Italia é sempre stata considerata un’arte di serie B.
L’approccio realistico può forse  valere per il fotogiornalismo che deve raccontare l’attualità attraverso le immagini più significative, ma per tutti gli altri generi dalla ritrattistica alla paesaggistica, credo che questo non valga più.
Se a tutti gli effetti la fotografia é un’arte, perché l’interpretazione della realtà deve essere strettamente legata a ciò che vedo e non all’idea che ho di quello che mi circonda?

La fotografia non mostra la realtà, mostra l’idea che se ne ha (Neil Leifer).

Quando scattiamo facciamo già una scelta, decidiamo cosa includere e cosa escludere e quindi interpretiamo il mondo esterno, proiettiamo inevitabilmente il nostro io. E’ insito nell’atto stesso del fotografare l’interpretazione di quello che “vedo” e allora ha senso prendersela con il digitale e la postproduzione?
A mio parere no.
La postproduzione digitale in fotografia é la versione moderna ed evoluta della stampa del bianconero in camera oscura: così come nell’oscurità di una luce rossa si ha la possibilità di interpretare lo spartito offerto dal negativo tramite le diverse tecniche proprie di quest’arte (perché tale é la stampa in BN) ed i ritocchi di natura pittorica, così photoshop o affini ci offrono una grande varietà di strumenti ed opportunità per esprimere la nostra creatività.

Quasi 2 anni fa, agli inizi di questo blog, scrivevo qualcosa di profondamente diverso, il post si intitolava Dove va la fotografia oggi?, forse gli stimoli avuti in questo periodo, forse i nuovi progetti fotografici che ho in testa, forse la conoscenza e la migliore comprensione di certe tecniche digitali, forse perché solo gli stupidi non cambiano idea… eccomi qua con un nuovo approccio e sì ora mi sento di affermare che é il caso di superare queste diatribe ed avere un approccio aperto al mondo fotografico.